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Ari Ari
di Mattioli, Corona, Gherzi;
con Monica Mattioli e Roberto Corona;
regia di Gianluigi Gherzi
Comico e sfrenato ARI-ARI, attraverso il gioco scatenato di narratori e attori, vuole restituire alla fiaba il suo sapore originario, terribile ed esaltante.
ARI-ARI, tratto da una delle fiabe italiane raccolte da Italo Calvino, racchiude in tre pagine una storia crudele e trionfante. Crescere, scappare di casa, imparare dal mondo, esserne fregati, prendersi una rivincita.
L'origine di questa fiaba risale a "Lu cantu du lu Nanni orcu" (Terra d'Otranto). E' una delle più gaie versioni italiane di questo diffusissimo racconto (il conto dell'Huerco), col suo sapore di fame, d'inganni d'osterie e di beghe familiari.
"Gaio" ovvero conciso, leggero, secco, essenziale, ironico. Questa fiaba non concede niente alla letteratura.
"Sapore di fame, d'inganni d'osterie, di beghe familiari": il trauma e la passione del crescere non sono in alcun modo nascosti ed edulcorati. Ogni passo è decisivo e gli errori si pagano nella moneta sonante delle bastonate. Annoiarsi significa scappare da scuola. Essere cacciati da casa incontrare orchi. Prendersi una rivincita è diventare ricchi, alla faccia di tutto il mondo.
Questa è la fiaba dei "super-oggetti".
Un ciuco caca denari, una tovaglia che si apparecchia da sola, una mazza che mena a destra e a manca.
Oggetti simbolo e metafora di momenti della crescita. Oggetti che in scena prenderanno importanza autonoma, diventeranno scultura e feticcio. Oggetti che diventeranno personaggio.
ARI-ARI è pieno di echi musicali. Voci roche, chitarre che salgono da angoli di osterie, battiti di mani sempre più incalzanti. Musiche e atmosfere gitane. Ritmi assoluti e passionali che conducono il protagonista Ntoni da una situazione all'altra, passando dal disagio e dall'imbarazzo a momenti di euforia.
Quando è solo Ntoni riflette, sparla, canticchia e soprattutto balla. E il suo flamenco diventa danza delle scoperte e delle sfide.
Spettacolo per bambini a partire dai 7 anni.